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COSTRUIRE ABITARE PENSARE LA SPAZIALITA’

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Esaminare la crisi contemporanea dell’abitare in termini teorici generali, focalizzandosi sulla condizione specifica riscontrabile ad Ascoli Piceno, entro un confronto tra patrimonio storico-architettonico cittadino, organizzazione e sviluppo urbano attuale e rispondenza alle esigenze dell’abitare contemporaneo.

Per l’anno 2016 l’associazione ha deciso di coordinare tutti gli eventi culturali attraverso la scelta di un tema specifico che consolidi i nostri sforzi. Dopo diverse riunioni il Direttivo ha deciso di scegliere “Costruire abitare Pensare” come primo tema culturale della storia di questa associazione.

“Costruire abitare pensare” è il titolo di un saggio scritto dal filosofo Martin Heidegger nel 1951, pubblicato a seguito della crisi degli alloggi in Germania. Heidegger propone qui le sue risposte a due domande: che cos’è l’abitare? In che misura il costruire rientra nell’abitare? Esemplificando queste domande con un articolo sul saggio heideggeriano, Antonio Gnoli (“Repubblica”, 12 ottobre 2005) ha scritto: “Entri dentro una casa, l’arredi, metti il tuo nome sul campanello; è chiaro che la abiti. Prendi la residenza in una città ed è altrettanto evidente che abiterai in quel luogo. Abitare, secondo il senso comune, è mettere radici. Piantare le proprie tende, riconoscersi in uno spazio delimitato di cui abbiamo il possesso provvisorio. Abitare è per lo più pensato come una relazione con la spazio. Una situazione che interessa carpentieri, agrimensori, architetti, costruttori e, da ultimo, i destinatari di quello spazio. Abitare è un voler proteggersi dalle insidie dell’aperto. Ma anche l’aperto, in un certo senso, è abitato.Il passaggio successivo, viste le molteplici forze in campo, è quello per cui l’abitare si risolve tuttavia nel suo contrario, nel disabitare, in uno stare nella casa e nella città quando la città può essere il risultato di piani urbanistici sincronicamente difformi tra loro e non rispondenti ad esigenze essenziali. Tale processo, già in atto dall’Ottocento con la trasformazione delle metropoli all’insegna dell’urbanistica utilitaristico-industriale, prende poi voce nella sensazione di sradicamento espressa dalla letteratura dell’epoca (Dickens, Balzac, Baudelaire, Dostoevskij) ed oggi è ancor più evidente e stridente. Difatti, riprendendo il discorso heideggeriano così continua la sua osservazione Antonio Gnoli :In realtà costruiamo solo perché in qualche modo già abitiamo quello spazio. Agli occhi di Heidegger è questa la differenza fra il semplice abitare e  l’essenza dell’abitare. La quale è un aver cura del proprio spazio. Non c’è lo spazio e poi arriva l’uomo che lo abita. «Lo spazio non è qualcosa che sta di fronte all’uomo». La relazione tra l’uomo e lo spazio «non è null’altro che l’abitare pensato nella sua essenza». Non c’è per Heidegger un prima e un dopo, ma un “infra”, uno stare nel rapporto, nella relazione. Ovvero il soggiornare presso le cose già da sempre. Ed è un soggiornare che solo la tradizione è ancora in grado di mostrarci. Il mondo moderno, secondo Heidegger, ha separato l’uomo dal suo spazio; ha imposto un rapporto mezzi-fini che necessita di un prima e di un dopo, di un progetto (costruire una casa) e di un fine (abitarla). Ma è questo il modo per imparare ad abitare? Si chiede Heidegger. La risposta è no!”

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(Ph Bruno Bianchini)

 La prima necessità è quindi abitare uno spazio trasformandolo in un luogo – e solo ciò che è esso stesso un luogo (Ort, in tedesco) può accordare un posto. Il luogo diventa tale, ha senso, solo dalla sua origine (Ort) e se gli edifici con cui è in rapporto rispondono alle nostre esigenze fondamentali, “esistenziali”: solo se pensati e realizzati in questa maniera gli edifici imprimono il loro segno sull’abitare e lo spazio urbano non è più solo qualcosa che divide e separa, che va colmato e attraversato rapidamente, ma grazie al costruire, la cui essenza è fare apparire, gli edifici e l’abitare di volta in volta accordano gli spazi. Nell’essenza degli edifici così intesi risiede il rapporto tra luogo e spazio, e l’abitare è l’aver cura delle tensioni descritte da Heidegger – salvare la terra, accogliere il cielo, attendere i divini, condurre i mortali (“Quadratura”). L’abitare e il costruire sono quindi degni di attenzione, problematici, rientrano nel pensare, e così conclude Heidegger il suo saggio (M. Heidegger, “Costruire abitare pensare”, in Saggi e discorsi, Mursia, Torino 1976, p. 108)

Chiostro Maggiore di San Francesco

(Ph Tipico Ascoli)

Si parla dovunque e con ragione di crisi degli alloggi. Non solo se ne parla; vi si pone mano per ovviarvi. Si cerca di vincere la crisi attraverso la produzione di abitazioni, incoraggiando le costruzioni, pianificando l’edilizia. Per quanto dura e penosa, per quanto grave e pericolosa sia la scarsità di abitazioni, l’autentica crisi dell’abitare non consiste nella mancanza di abitazioni. La vera crisi degli alloggi è più vecchia delle guerre mondiali e delle loro distruzioni, più vecchia anche dell’aumento della popolazione terrestre e della condizione dell’operaio dell’industria. La vera crisi dell’abitare consiste nel fatto che i mortali sono sempre ancora in cerca dell’essenza dell’abitare, che essi devono anzitutto imparare ad abitare. Non può darsi che la sradicatezza dell’uomo consista nel fatto che l’uomo non riflette ancora per niente sulla autentica crisi dell’abitazione riconoscendola come la crisi?

In architettura è lo stesso Renzo Piano a dircelo, inserendo la tematica del “rammendo” ovvero risanare la città compatta e diffusa, riqualificando zone degradate restituendole alla società. Questo l’obiettivo del nuovo architetto, non più nuove costruzioni, ma riusare quelle zone che sono diventate dei “buchi neri” della nostra civiltà.

Piazza del Popolo 6

(Ph Tipico Ascoli)

Crisi degli alloggi a parte, si può quindi abitare sontuosamente, poveramente, pensando l’abitare come una forma di riconoscimento sociale che può al tempo stesso esserne la negazione; ma la crisi dell’abitare è dovuta essenzialmente all’instabilità dell’uomo contemporaneo che abita la casa, la città, la metropoli, il paese senza più radici ed occorre “pensare la crisi” se si vuole tornare ad abitare nel senso più proprio dell’oikos o dell’heimat, o magari della polis o della civitas. Non lontano da quest’ottica Massimo Cacciari ha scritto (M. Cacciari, La città, Rimini 2006, pp. 24-27):

“Prima di discutere di scelte urbanistiche dobbiamo porci la domanda: che cosa chiediamo alla città? Chiediamo di essere uno spazio nel quale ogni forma di ostacolo al movimento, alla mobilitazione universale, allo scambio, sia ridotto ai minimi termini, o chiediamo ad essa di essere uno spazio in cui ci siano luoghi di comunicazione, luoghi pregnanti dal punto di vista simbolico, dove vi sia attenzione all’otium? Si chiedono purtroppo entrambe le cose con la stessa identica intensità, ma entrambe non sono proponibili in alcun modo insieme, e quindi la nostra posizione nei confronti della città appare ogni giorno di più letteralmente schizofrenica. Questo non vuol dire che essa sia “disperata”, anzi è molto affascinante perché chissà cosa salterà fuori. È una contraddizione talmente acuta che potrebbe essere la premessa di qualche nuova creazione
[…] È meglio fare dei progetti di architettura e di urbanistica in cui mettere in evidenza di fronte al pubblico il carattere contraddittorio della sua domanda, senza coprire e mistificare questa situazione, senza credere di superarla con qualche fuga in avanti o ritornando al passato di Atene.”

Piazza del Popolo 12

(Ph Tipico Ascoli)

Al fianco delle considerazioni e domande qui poste, Das Andere ne ha aggiunte altre, in un’ottica che partendo dalla realtà locale giunga a delle considerazioni universalizzabili: una città di impianto medievale o rinascimentale, è ancora adatta alle esigenze odierne? Trasmette ancora l’essenza del luogo? C’è bisogno, oggi, della la stessa “essenza” di allora? L’abitare può prendere la forma del pensare fuori dal tempo e dal denaro, fuori da una logica utilitaristica e non in vista di una determinata funzione (economica, ludica, ricreativa, commerciale, industriale) che organizza e suddivide gli spazi? La parcellizzazione odierna dei luoghi, legata all’allargamento delle distanze per cui gli spazi personali sono frantumati in pezzi disgiunti, lontani gli uni dagli altri (il domicilio, l’abitazione, il lavoro, qualche spazio pubblico della città, lo spazio dei commerci, lo spazio industriale, lo spazio “dell’altro” ossia dei piaceri e dell’evasione) è superabile? I trasporti (collettivi e individuali) mascherano i loro effetti deleteri e distorsioni che impongono all’organizzazione ambientale inibendo la nostra possibilità capacità di opporci al gioco delle forze che modellano lo il territorio? Si può immaginare uno spazio urbano per l’otium? La funzione della tradizione artistico-architettonica è stata, in maniera sincronica e diacronica, talvolta rispondente ad un bisogno identitario, sia locale sia nazionale, ma è ancora così? Cosa tiene insieme una città, l’origine e l’ethos (come nella polis greca) o un telos condivisibile (come nella civitas romana)? Qual è la differenza, rispetto alle epoche precedenti di cui Ascoli Piceno porta traccia, tra spazi pubblici e privati? Quali i cambiamenti antropologici determinati dall’urbanistica? Quali i cambiamenti socio-relazionali? La proposta di questo tema, Costruire Abitare Pensare, è motivata quindi da molteplici fattori: la nascita stessa di Das Andere” in rapporto alla figura di Adolf Loos, architetto e innovatore dell’architettura anche nella città; l’individuazione di un tema che possa essere un collante per accrescere i valori conviviali promossi da Das Andere con il resto della città e qualsiasi altra persona che parteciperà agli eventi programmati, partendo con una riflessione sulla città, sull’ambiente urbano in un dialogo tra tradizione ed esigenze odierne; una proposta tematica ampia che, senza perdere di identità e intensità, riesca a co-involgere diverse discipline (storia, storia dell’arte, filosofia, architettura, urbanistica, design, antropologia urbana, sociologia delle relazioni, cinema, musica, geofilosofia, filosofia dell’ambiente, filosofia politica) entro un’ottica olistica e multidisciplinare – quella che un’analisi della crisi odierna della città richiede; evidenziare la continuità e la dissonanza presente entro i legami (di diversa natura) con il contesto urbano locale, Ascoli Piceno ed il suo patrimonio storico-architettonico; la possibilità di cooperare ed organizzare eventi con altre istituzioni e figure (Comune, Provincia, Consorzio Universitario Piceno, corpo docente e studentesco) su un tema che ha un ancoraggio storico-locale e una portata universalizzabile, nonché intessere rapporti con le attività e destinazioni d’uso della nascente Bottega del Terzo Settore. Costruire Abitare Pensare è un progetto culturale di durata almeno annuale che riflettendo sulla correlazione dei fattori ambientali ed urbani, essere umano, paesaggio, beni materiali, patrimonio culturale ed esigenze dello spirito (perché, per dirla con Ernest Jünger, “è lo spirito che colonizza lo spazio”), analizza la crisi odierna dell’abitare senza sguardi nostalgici e non in termini di arcadia, bensì facendo deflagrare le domande proposte nei loro aspetti contraddittori e perciò culturalmente rilevanti e avvincenti. L’associazione non vuole esclusivamente promuovere ed organizzare eventi ma costruire (o ricostruire?) un reticolo di interessi, un Itinerario, un sentiero, un cammino, una rotta dove si incontrano i volti, le speranze, le origini e le attese di chi la percorre – una fascia di terreno, più o meno ampia, attrezzata per il transito delle idee.

Di Alessandro Poli

Vice Presidente Ass. Culturale Das Andere

 

2017-01-10T20:08:16+00:00 22 settembre 2016|Senza categoria|

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